Storia

Origini e storia della Giostra del Saracino

Le Giostra del Saracino è un’antichissima tradizione le cui origini si allacciano ai tornei, giochi d’arme ed esercizi militareschi che cavalieri armati di lancia, stretti in luccicanti corazze e sontuose vesti, tenevano al tempo dei liberi comuni. Ad Arezzo sappiamo essere usanza fin dagli albori del XI secolo, sfortunatamente però lo splendore delle consuetudini medievali aretine si interruppe bruscamente nel 1384 quando la città fu preda di bande di soldatesche mercenarie.

A cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento riemergono documentazioni su tornei giostreschi e nel 1491 fu addirittura Lorenzo de’ Medici, il Magnifico, a scomodarsi per avallare lo svolgimento di una giostra che fu, come nel 1492, “ad tabulam” (all’incontro); la più antica fonte conservatasi fino ad oggi di giostra “ad burattum” (al Buratto) è datata 1535 e, come quelle del 1491 e 1492, fu corsa per le celebrazioni patronali agostane.

A questo sfoggio di arte equestre, abilità e coraggio nel Cinquecento vi avrebbero assistito anche Alessandro, Cosimo I e Ferdinando I de Medici, certificando la giostra già nel XVI secolo come festa di rappresentanza con funzione identitaria dell’indole cittadina.

Giova ricordare che una quasi millenaria tradizione non può essere racchiusa in una moderna visione statica, infatti le giostre non ebbero almeno fino agli anni Trenta del secolo scorso una costante ambientazione e potevano variare anche alcuni elementi tecnici.
Erano eventi che si potevano svolgere per le più importanti ricorrenze religiose (San Donato Patrono è la più conosciuta), civiche (come già sottolineato per omaggiare il soggiorno in città di importanti cariche, per ricorrenze politiche o più prettamente mondani e dilettevoli come il Carnevale), private (sposalizi o anniversari accademici) oppure sfide di coraggio e virtù tra il patriziato o esercizio militare.

Era quindi una festa, una usanza senza una rigida e prestabilita datazione potendosi tenere in vari momenti dell’anno compresi i mesi invernali, egualmente dinamico era l’elezione dell’arringo (o campo) che poteva essere allestito nelle più belle piazze o centrali vie della città come in più spartani rioni.

Questa duttilità e permeabilità all’ambiente sociale e politico aretino, nonchè la piena identificazione con i costumi locali, sono caratteristiche che ne hanno permesso l’adattamento alle esigenze, mutamenti ed etereogeneità della città determinanti per la sua secolare sopravvivenza.
D’altronde tanto più un’usanza è aderente ed immersa nella cultura in cui si svolge tanto più la stessa è vera, sentita, radicata e non posticcia o imposta.

La forte immedesimazione tra la città e la giostra ha nell’anima narrativa della grandezza della storia e civiltà aretina una imprescindibile connotazione; a fare da alter ego e metafora per la sua teatralizzazione e decantazione sta l’impersonificazione del simulacro nel mitologico guerriero Re delle Indie, che: dopo aver combattuto e disarcionato con il suo mazzafrusto i migliori soldati di tutti i continenti trova, facendo risalire la sua venuta ad un tempo immemore, pari coraggio e ardore solo nella città di Arezzo e nei suoi cavalieri.

La più antica documentazione di una giostra corsa con la sua figura a lanciare disfida di abbattimento risale al 1605: tenutasi durante un soggiorno in terra pisana della Corte toscana fu voluta da Ferdinando I de Medici e dalla consorte Cristina di Lorena per allietare la Corte e il popolo che accorse numeroso ad assistervi. La sua organizzazione e riuscita si dovette all’aretino Colonnello Ottaviano Mecenate.

Da allora sappiamo che la liturgia prevedeva nei giorni antecedenti il torneo una sfilata notturna al lume di molte torce di un numeroso esercito in costume moresco, che facendo sfoggio della sua magnificenza per le vie cittadine scortava l’Araldo del Buratto fin sotto le finestre delle più alte cariche ed ivi recitava in rima una disfida in pieno stile e secondo i canoni cavallereschi. Seguiva il giorno dopo l’affissione di un cartello (un manifesto stampato) riproducente in prosa le tonalità della disfida della sera prima, allo stesso potevano essere aggiunti i capitoli (il regolamento) sulla cui base si sarebbe svolta la singolar tenzone.
Da questa occasione ci arrivano quindi anche le più antiche ricordanze delle caratteristiche tecniche, così certificando ad almeno più di quattrocento anni fa le modalità sulla cui base si corre giostra ancora oggi.

Il Buratto indossava come ancora oggi al braccio sinistro una targa numerata dove devono colpire i cavalieri con la propria lancia al galoppo, evitando in contemporanea di essere raggiunti o persino disarcionati da un mazzafrusto di tre palle di ferro pendente dalla mano del braccio destro disteso la cui reazione (la rotazione dell’intera parte superiore del corpo del fantoccio) è innescata dal colpo di lancia.

Il Seicento è ricco di memorie riportanti lo svolgimento di giostre, tanto che esisteva un posto ove di consueto, ma non esclusivamente, si tenevano questi avvenimenti detto: “borgo al Saracino”.
Nella prima metà del secolo ebbero occasione di assistere alle giostre aretine anche Cosimo II de Medici con la moglie Maria Maddalena d’Austria e il Duca di Urbino Francesco II Maria della Rovere, mentre nel 1677 la definì “… festa sovra d’ognaltro divertimento più grato…” il Cardinale Nereo Corsini. Quest’ultima giostra è ricordata nel libretto “All’insegna del Sole” in cui vengono descritti i festeggiamenti indetti per celebrare l’elezione di Filippo dei Massi a Principe dellAccademia degli Oscuri; l’autore oltre ai capitoli e altri particolari si spinge fino a riprodurre anche le immagini della targa e del Re dell’Indie.

Passata l’epopea barocca già poco dopo la metà del settecento la giostra è documentata corsa dagli artieri (dagli artigiani, dalla cittadinanza), indicati nelle prime decadi dell’ottocento come:“paladini vestiti all’eroica”, “abili e giovani cittadini che dimostrano prontezza ed agilità”; così confermando la sua attinenza, se non anticipandola, all’evolversi della società e dei costumi.

A riprova dell’attaccamento e popolarità della giostra di Buratto, a più di duecento anni fa risalgono anche le prime fonti che descrivono il “gioco popolano della Giostra”, cioè il codificato diletto con cui il popolo faceva ‘giostrare cavalieri’ tirati sopra carrette i quali dovevano infilare una ‘lancia’ in un anello collocato ai piedi di un fantoccio-Buratto appeso tra i palazzi delle strette ed antiche vie del centro storico: chi non centrava l’anello si vedeva rovesciata addosso un secchio di acqua che in equilibrio vi era sopra posto, vinceva chi invece indirizzava la lancia per tre volte nell’anello aggiudicandosi il più delle volte un capo di vestiario. Tale popolaresco gioco è ancora disputato come festa paesana nei centri vicini alla città e, con varie modalità, al gioco del Buratto si cimentano i bambini e ragazzi dei Quartieri nei giorni precedenti le giostre.

La prima giostra del XX Ventesimo secolo si svolse nel 1904 nell’anfiteatro del Prato nel corso dei festeggiamenti per il seicentesimo anno dalla nascita di Francesco Petrarca e vi assistette una gran folla aretina e di forestieri. Preceduta da un vasto corteo in costume si sfidarono in abilità e coraggio il reggimento dei Cavalleggeri Savoia di stanza a Firenze, che per non sfigurare era giunto una settimana prima in città per potervisi allenare.

Successivamennte, tra gli anni Venti e i Trenta, l’amministrazione comunale ritenne di dare alle giostre costante ambientazione storica all’età tardo medievale, di eleggere campo stabilmente in piazza Grande, di darne cadenza in due edizioni annuali, ma soprattutto segnare il passaggio da competizione tra singoli cavalieri a cui il popolo che vi assisteva si poteva di volta in volta appassionare e sostenere a rappresentanti di fazioni territoriali rifacetesi ai borghi e i rioni che avevano nei secoli racchiuso e caratterizzato la cittadinanza e che contraddistinguevano ancora il tessuto sociale aretino, esaltando così ancora di più l’attinenza cittadina.

La giostra che si tenne in piazza Grande il 7 agosto 1931 fu la prima che si svolse con la rinnovata dinamica e vi si sfidarono con due cavalieri per ognuno i Rioni di: Porta Crucifera, Porta del Borgo, Porta del Foro, Saione, Porta Santo Spirito.

L’anno successivo ricercando una ancora maggior attinenza con la storia aretina, veridicità ambientativa, nonchè assonanza al sentimento popolare, fu in parte rivista la suddivisione territoriale e il premio della Lancia d’Oro gli aretini se lo disputarono suddivisi nei Quartieri di origine medievale di: Porta Crucifera, Porta Sant’Andrea, Porta del Foro e Porta Santo Spirito.

Il proseguo del racconto di questo periglioso cimento, come si usa dire: è storia.