Si chiude il primo ciclo di interviste di Corrergiostra rivolto ad alcuni degli uomini delle scuderie dei quattro quartieri, personaggi che hanno avuto o tuttora hanno un legame particolare con i giostratori e i cavalli. Il quarto che abbiamo incontrato è Maurizio Leoni, uno dei primi responsabili del campo prove “Sergio Borgogni” di Porta del Foro.
Tu che hai vissuto il campo prova di Porta del Foro fin dai suoi esordi puoi dirci quando è nato e per merito di chi?
“Il campo prove è nato intorno all’anno 2010, precedentemente al mio coinvolgimento come responsabile, grazie al Consiglio direttivo guidato da Paolo Ciarpaglini il quale iniziò il progetto di fornire al Quartiere un campo di allenamento di proprietà individuando l’attuale area e affittandola. Tale progetto avrebbe portato il Quartiere di Porta del Foro al pari degli altri permettendogli di organizzare e migliorare gli allenamenti dei propri giostratori che, fino a quel momento, si allenavano in solitaria o in strutture esterne private facendo così aumentare costi, problemi organizzativi e tecnici che gioco forza limitavano il lavoro e la crescita dei ragazzi. Negli anni successivi, con l’ingresso del Consiglio guidato da Sandro Sganappa, è iniziata la mia avventura come responsabile del Campo Prove grazie anche alla fiducia che il capitano Dario Tamarindi riponeva in me”.
Ci racconti come è nata l’idea di intitolare il Campo Prove di Porta del Foro a Sergio Borgogni?
“L’intitolazione del campo prove a Sergio Borgogni per noi è stato un atto dovuto, il giusto riconoscimento ad un quartierista DOC che ha dedicato tutta la sua vita al Quartiere di Porta del Foro. Cresciuto dentro il quartiere fin da ragazzo, partendo come Armigero non ha più abbandonato quei colori che ti si incollano dentro e plasmano la tua vita e che lo hanno portato fino ad entrare nel Consiglio direttivo e a vestire i panni di vice capitano. Persona sempre disponibile e pacata, un buono a cui non era possibile non voler bene”.
Cosa vuol dire far parte delle scuderie e frequentare il campo prove? Quali sono i sacrifici che bisogna fare per far trovare tutto in ordine e sistemato al dettaglio per gli allenamenti dei giostratori?
“Questo è il segreto che muove tutte le fila, ci vuole una passione che ti plasma fin da ragazzo, una missione comune che ti porta ad innamorarti di tutto ciò che gravita intorno alla Giostra del Saracino. Il mio coinvolgimento è stato sentito come un qualcosa di dovuto al quartiere, ho manualità e la possibilità di risolvere problemi analizzandoli e cercando la soluzione migliore. C’è da dire che il clima che si respira all’interno delle scuderie è un mondo dentro un altro mondo, fino a che non ci sei dentro non ti rendi conto della dedizione e dei sacrifici che ogni componente svolge, esclusivamente per passione, quella passione che però ti ripaga anche solo con un sorriso, un abbraccio, una pacca sulla spalla… ma tanto basta. Il lavoro, non nego, è estenuante. Cerchi sempre di far trovare tutto a posto per ogni seduta di allenamento, rettangolo e lizza in primis, sabbia della giusta compattezza, umida ma non bagnata e liscia come un biliardo. Anche il contorno deve essere ordinato e ben curato, un bell’ambiente dove allenarsi è motivante per tutti, soprattutto per i giostratori”.
Ci racconti qualche aneddoto divertente o comunque significativo successo durante gli allenamenti che renda bene l’idea del clima che si respira?
“Quando ripenso al tempo dedicato al campo mi ritorna in mente sempre l’inizio della mia esperienza quando ho risolto il problema del cronometro per rilevare i tempi progettando e costruendo una versione rivelatasi poi molto precisa, ben funzionante e resistente nelle sue versioni successive. La prova del marchingegno fu fatta in una delle sale del quartiere, in presenza del rettore Sganappa: durante il primo collaudo tutto funzionò a meraviglia, il cronometro partì e si fermò come previsto, il che ci fece balzare dalle sedie entusiasti e, a dire il vero, increduli dato l’incredibile groviglio di cavi che avevo fatto… ed infatti poco dopo la fine del collaudo Sandro mi chiede: “ma è normale che esca tutto quel fumo?” mi girai e in effetti i cavi stavano prendendo fuoco! Per fortuna tolsi l’alimentazione e tutto si risolse.
Quel momento, che nessuno conosce, è uno dei ricordi più importanti che mi porto dietro, di fallimento si, ma solo temporaneo visto che grazie alla fiducia riposta in me da Sandro e Dario riuscimmo infine ad avere uno strumento funzionante e preciso a disposizione delle scuderie. Il campo prove e le scuderie ti insegnano ad affrontare continuamente queste sfide che ti portano a fallire ma, a testa alta bisogna continuare fino a che il problema non è risolto e tutto funziona. Tutto questo lavoro lo si fa solo per ricevere un sorriso o una pacca sulla spalla ma tanto basta, anche se poi succedesse di portare il “brocco” a casa… tanto meglio!”.
Alessandro Dragoni
Leonardo Maccioni