Porta Sant’Andrea: parla il rettore vicario Gianni Sarrini

A"vrei troppi episodi da raccontare. Mi limito all’inaugurazione del Museo nel 2011 per cui mi spesi moltissimo, anche nelle istituzioni. Una gioia paragonabile a una vittoria"

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Uomo di giostra a tutto tondo, impossibile non conoscere Gianni Sarrini in arte il “Nana” cuore e anima attiva di Porta Sant’Andrea oggi vice del Rettore Maurizio Carboni suo grandissimo amico. Sarrini ha ricoperto moltissimi ruoli nel mondo della giostra sia dentro il quartiere che a livello “istituzionale” (ma lui si trova meglio nel quartiere). La sua esperienza e conoscenza oggi come dice lui si limita a “fare da coordinamento tra le varie anime del quartiere”. Amore, passione e “suggerimenti” su cui riflettere che vengono da una figura storica del mondo della giostra.

Quando nasce la tua passione per la Giostra del Saracino e per il tuo quartiere?

“Da bambino. Vengo dal Fonterosa, allora era periferia e per dire che andavamo in centro dicevamo “vado ad Arezzo”, ma i miei genitori, mia mamma in particolare, mi hanno sempre portato a vedere la sfilata e, nel 1975, in piazza a vedere la Giostra, rigorosamente con la bandierina di Sant’Andrea. Mio nonno materno nel 1931 è stato figurante del rione di porta Crocifera, poi da sposato si è trasferito a Staggiano in casa di mia nonna e lì era ed è Sant’Andrea e mia mamma è biancoverde dalla nascita così come il mio babbo, nato al Fiume, all’epoca “Staggiano basso””.

Quali sono i tuoi ricordi da bambino e trascorsi al quartiere?

“Da piccolo per la giostra era tradizione andare a vedere la sfilata e poi al Prato dove c’era il “Festival de l’Unità”. Lì sentivo i suoni della piazza e attendevamo i colpi di mortaio per capire chi aveva vinto. Poi da ragazzino in sede a vedere i più grandi che si vestivano e quindi in piazza nei posti in piedi. Dal 4 settembre 1983 sono entrato in piazza come figurante. Quest’anno sono quarant’anni, è l’ora della pensione”.

Il passaggio da quartierista a dirigente è un po’ datato ma ricco di episodi, ci racconti quelli per te più significativi?

“Sono entrato in consiglio nel 1988 con Municchi rettore, fino al 1995 poi rientrato dal 2006 al 2017 infine nel 2022. Avrei troppi episodi da raccontare. Mi limito all’inaugurazione del Museo nel 2011 per cui mi spesi moltissimo, anche nelle istituzioni. Una gioia paragonabile a una vittoria per chi, come me, era cresciuto in uno stanzone al “Circolino” di San Gemignano come sede”.

Hai ricoperto molti ruoli nel quartiere, quello da vice rettore è forse il più atipico, quali sono i tuoi compiti?

“Il Rettore vicario “sostituisce il Rettore in caso di assenza o impedimento”. Ci sta tutto e niente. In questi casi non è l’abito che fa il monaco ma il sarto che fa il vestito. Io ho preso alcuni incarichi operativi nell’organizzazione del Circolo e attività sociali, Museo, ecc. C’è un gruppo che è un mix di veterani e giovani che sta dietro a questi settori, io mi limito a fare da coordinamento per far si che i vari gruppi di lavoro interagiscano”.

Quello che senti più tuo o che ti ha regalato più soddisfazioni invece quale è?

“Sicuramente l’aiuto regista. Mi ha dato tanti motivi d’orgoglio: essere un punto di riferimento per i colleghi e sentire l’apprezzamento per lo stile e il metodo del mio Quartiere in quegli anni. Agli esordi mi capitò, per l’estrazione delle carriere, un grave problema con il cavallo del capitano prima di partire. Riuscì a fare in modo di sostituire il cavallo senza far ritardare né la partenza del corteo né l’inizio della cerimonia. Al termine il coordinatore di regia, Assuero Pieraccini, il mitico “dottor Pieraccini”, mi venne a dare la mano complimentandosi per come avevo gestito la situazione invitandomi poi a dargli del tu. Per uno della mia generazione, seppur di un altro quartiere, il Pieraccini è e rimarrà un mito, quindi ti puoi immaginare come ero felice delle sue parole”.

Il tuo rapporto con Maurizio Carboni?

“Maurizio è uno dei miei più cari amici da oltre vent’anni. C’è un solido rapporto di stima reciproca e lealtà. Non so, come lavoro io, se avrei potuto fare il cancelliere prima e il vicario poi, con un altro rettore, per lavorare bene assieme serve di capirsi e fidarsi”.

Quanto è complessa la macchina organizzativa di un quartiere?

“Tanto, troppo. Quartiere, scuderie, museo, circolo e quant’altro. Occorre ripensare il modello organizzativo. Siamo ancora troppo “consiglio-centrici”. Per superare i vecchi modi di lavorare occorrerà una nuova generazione di dirigenti”.

La crescita della Giostra del Saracino passa dalle attività sociali, culturali e aggregative che i quartieri organizzano tutto l’anno.

“Si. A Sant’Andrea abbiamo fatto scuola in fatto di iniziative; la prima “Settimana del Quartierista” è del 1985, la “Festa del Patrono” del 1987, il “Tombolone” addirittura del 1979, poi abbiamo sempre avuto un’evoluzione in positivo negli eventi di ogni genere, tanto che ci hanno copiato praticamente tutti, per ultimo il “Saracino di Peneto” ovvero la gara tra giostratori e riserve: lo chiamano diversamente ma quello è. Siamo stati, soprattutto negli ultimi venti anni, una “gioiosa macchina da guerra””.

A livello “comunale” prima sei stato coordinatore di regia, oggi fai parte del Consiglio di Giostra. Raccontaci un po’ queste esperienze.

“La prima è stata fugace, ma ho fatto in tempo a esordire con un temporale che ha stravolto il palinsesto. Per fortuna siamo riusciti a gestire la situazione tutti assieme. Sono stato onorato della fiducia dell’allora assessore alla Giostra e contento di “vedere la Giostra” da un punto di vista diverso ma mi trovo meglio nel Quartiere. Qui le direttive della dirigenza si applicano e chi non rispetta le regole viene ripreso. Nel Consiglio di Giostra ho trovato persone che stimo ma occorre capire quale è il ruolo di questo organismo al di là delle buone intenzioni dichiarate. Anche qui occorre un “sarto che faccia il vestito””.

Spogliandoti dal ruolo che ricopri all’interno del tuo quartiere, da semplice appassionato, cosa proporresti per veder crescere la Giostra del Saracino.

“Basta modifiche! Occorre tornare alla Tradizione con la T maiuscola. A 70 km da noi c’è una realtà che, piaccia o meno, è conosciuta in tutto il mondo. Da secoli Siena non tocca nulla di sostanziale nelle regole e nella tradizione. Qui ognuno che arriva a dirigere la Giostra vuole fare a modo suo. C’è poca umiltà. Curare i particolari, il contegno dei figuranti, il decoro e la gestione della manifestazione è quello che serve”.