Ciò che accadde la sera del 15 febbraio 1796 in una piccola taverna vicino a porta San Clemente cambiò per sempre la storia della nostra città.[1]
Nel mese in cui il carnevale impazza a far impazzire gli aretini ci pensò un terremoto che, incessante, continuava a manifestarsi con scosse giornaliere spesso di grave entità. I festeggiamenti per il carnevale furono quindi interrotti e gli aretini iniziarono ad organizzare grandi processioni auspicando l’intervento divino per mettere finalmente fine a quei giorni disastrosi. Alla metà del mese le scosse continuavano, se ne era sentita una molto forte anche alle quindici, ma la speranza e la fede degli aretini non venne meno. In una piccola cantina, facente parte dell’ospizio appartenente alla Congregazione dei monaci camaldolesi,[2] si ritrovarono tre umili calzolai[3] ed uno di loro decise, come aveva fatto anche altre sere, di accendere una candela ad un’immagine della Madonna che li era affissa. Il quadro era abbastanza semplice: di piccole dimensioni e di semplice fattura. Raffigurava la Madonna di Provenzano.[4] A questa immagine non era riservata molta attenzione, era ormai completamente annerita a causa dei fumi propagati dalla lampada ad olio posta sotto di essa. Anche se ogni tanto si faceva lo sforzo di pulirla, cercando di portargli quel minimo rispetto che ad un’immagine religiosa si converrebbe, la patina che il fumo aveva creato era ormai impossibile da togliere.
Acceso e posizionato il lumino davanti alla Vergine i tre calzolai e la locandiera[5] si misero a pregare recitando le litanie. Chiesero la fine di quel terremoto che da giorni affliggeva la città. In poco tempo l’immagine, da scura quale era, iniziò a ripulirsi ed a brillare di luce propria tanto che “parea avesse nel petto rubini e diamanti.” [6]Ammutoliti i quattro presenti per riprova tolsero la candela ed il lume ad olio da sotto il quadro ma continuava a brillare allo stesso modo.
La notizia ovviamente fece presto a circolare e nel giro di poco tempo tutta la città si riversò nei pressi del luogo. Da lì a poco cessarono completamente anche le scosse di terremoto e nei giorni seguenti ebbero luogo in città altri fatti considerabili miracolosi, come varie guarigioni. Subito, tutto quello che era avvenuto, fu collegato al volere misericordioso della Madre di Dio. Anche il vescovo di Arezzo, Niccolò Marcacci, venne a conoscenza del prodigio e volle recarsi immediatamente in prima persona in quella cantina. Dopo averla venerata decise che per onorare al meglio la devozione del popolo e soprattutto la Sacra Immagine sarebbe stato giusto trasferirla in cattedrale. Così fece e la pose su di un altare affinché chiunque potesse adorarla.
In seguito a questo evento la chiesa si mosse ed allestì un’inchiesta in modo da verificare se quanto raccontato dai quattro presenti corrispondesse al vero. Il miracoloso avvenimento fu appurato e l’immagine venne ufficialmente spostata in Duomo e si decise per la costruzione di una grandiosa cappella che onorasse al meglio Colei che tanto fece per il popolo aretino. La prima pietra venne poggiata dal vescovo Marcacci il 5 agosto 1796 e fu terminata nel 1817.[7]
Nel 1814 arrivò un grande riconoscimento per la “nostra” Madonna. Grazie al vescovo Agostino Albergotti, successore del Marcacci nel 1799, il Capitolo di San Pietro in Vaticano concesse l’incoronazione della Vergine. L’allora papa Pio VII consegnò al vescovo aretino una piccola corona d’oro che il 15 agosto, a seguito di una suntuosa cerimonia, venne posta sulla testa dell’immagine.
Da allora le manifestazioni di devozione del popolo aretino nei confronti di quell’immagine che tanto li aveva aiutati in un momento buio continuarono incessanti. Voglio solo ricordare gli eventi più noti a Lei legati. Ben tre papi nel loro passaggio ad Arezzo hanno deciso di onorare la Vergine con un momento di preghiera nella sua cappella. Pio VII, nel 1805, Giovanni Paolo II nel 1993 ed infine Benedetto XVI nel 2012.
Altro punto cruciale della storia di Arezzo legato indissolubilmente all’evento miracoloso è il famoso moto popolare antifrancese del “Viva Maria”. Molti hanno visto proprio nel fatto del 15 febbraio la scintilla che ha fatto scattare negli aretini il sentimento di rivolta contro l’invasore straniero. A fine Settecento, come buona parte d’Italia, Arezzo era dominata dalle truppe francesi. La popolazione mal sopportava il dominio straniero e, forse rincuorati dalla grazia ricevuta pochi anni prima, decisero di insorgere il 6 maggio 1799 ad un mese esatto dall’ingresso in città dei francesi. Armati di forconi al grido di “Viva Maria” riuscirono a scacciare gli occupanti ed iniziarono subito a preparare la difesa per il contrattacco che ne sarebbe conseguito. Gli insorti, ottenuta qualche vittoria, non poterono reggere l’urto della vendetta francese. Nel corso della campagna d’Italia del 1800, il 19 ottobre, le truppe napoleoniche rientrarono in città. Molti rivoltosi furono giustiziati, la città venne saccheggiata e oltre a numerose case venne distrutto anche un bastione della fortezza medicea. Il “Viva Maria” vide così la sua fine.
Concordo con Mons. Tafi quando dice che è sbagliato denigrare l’episodio del miracolo unendolo o addirittura confondendolo con i moti di rivolta antifrancese. Se infatti si trattasse di un semplice episodio di fanatismo collettivo la devozione si sarebbe limitata al momento, come in altri casi, ma la Madonna del Conforto ha continuato per il popolo aretino ad essere un punto di riferimento ed il suo culto sopravvive ancora oggi.[8]
Fulgido esempio di questa devozione popolare è la composizione nel 1931 da parte di Mons. Francesco Corradini della laude “Bianca regina fulgida”. Il canto viene eseguito in tutte le celebrazioni Mariane ed è diventato l’inno della diocesi.
Indissolubile è anche il legame tra Giostra del Saracino e Madonna del Conforto. Ad essa è infatti dedicata l’edizione settembrina della manifestazione. Nella sua cappella si recano i quartieri dopo l’estrazione delle carriere ed accanto alla Sacra immagine la lancia attende il giorno della Giostra. Vi ritornerà poi al termine della gara nelle mani del capitano del quartiere vincitore che davanti alla Madre di Dio effettuerà anche il Te Deum di ringraziamento. Alla Madonna venne anche dedicata la lancia d’oro della novantunesima edizione della Giostra del Saracino del primo settembre 1996 vinta dal quartiere di Porta Santo Spirito dopo 13 anni di digiuno.
Il legame con il mondo della Giostra si rinnova ogni anno nel giorno dell’anniversario del miracolo. Alle 21:30 le rappresentanze delle associazioni e dei quartieri si recano in duomo nella sua cappella e lì Le rendono il dovuto omaggio.
Samuele Oroni
Bibliografia
–A. Albergotti, Il culto di Maria Santissima illustrato, difeso e promosso nella sposizione storica degli avvenimenti successi in Arezzo dal mese di febbraio del 1796 nello scuoprimento della di lei prodigiosa immagine detta del conforto e venerata adesso nella cattedrale di quella città · fino a tutto il mese di febbraio del 1800. Volume primo, Volume secondo, Lucca, 1800.
-A. Tafi, Immagine di Arezzo, Guida storico-artistica, Banca Popolare dell’Etruria, 1978.
–F. Cristelli, La Madonna del Conforto, Storia-Documenti-Fede, Firenze, Edifir, 2023.
-L. Zanelli, La Pulzella di Toscana, il grande romanzo della Madonna del Conforto e del Viva Maria, Edizioni Helicon, 2016.
–La Madonna del Conforto, Discorso detto nella solenne ricorrenza del 15 febbraio 1870 da Gabriello Vegni, Arezzo, Tipografia Bellotti, 1870.
-M. Bianconi, Storia di Arezzo e degli Aretini, E.P.T Arezzo, 1989.
-O. Niccoli, La vita religiosa nell’Italia moderna, Secoli XV-XVIII, Carocci, 2017
-O. Niccoli, Vedere con gli occhi del cuore, alle origini del potere delle immagini, Bari, Laterza, 2011.
-P. Palmieri, Dal terremoto aretino alle eruzioni vesuviane: letture religiose della catastrofe in età rivoluzionaria.
[1] La mia narrazione segue passo passo la versione ufficiale contenuta nei due volumi scritti da Agostino Albergotti “il culto di Maria Santissima…”
[2] Conosciuto anche come “Ospizio della grancia”.
[3] I calzolai erano: Antonio Tanti, Giuseppe Brandini e Antonio Scarpini. Chi decise di accendere la candela alla Madonna fu Antonio Tanti.
[4] La “Madonna di Provenzano” è un tipo di immagine raffigurante la vergine diffusasi nel territorio senese a partire dal XVI secolo. Venne riprodotta in varie forme. Quella miracolosa presente nella cantina era una piccola formella di terracotta invetriata. Questa madonna è venerata anche con il titolo di Advocata Nostra.
[5] Domitilla Bianchini.
[6] Cit. “A. Albergotti, Il culto di Maria Santissima illustrato, difeso e promosso nella sposizione storica degli avvenimenti successi in Arezzo dal mese di febbraio del 1796 nello scuoprimento della di lei prodigiosa immagine detta del conforto e venerata adesso nella cattedrale di quella città · fino a tutto il mese di febbraio del 1800. Volume primo.” P. 173.
[7] Per la descrizione della cappella si veda. A. Tafi, Immagine di Arezzo, Guida storico-artistica, Banca Popolare dell’Etruria, 1978, pp. 246-247.
[8] V. A. Tafi, Immagine di Arezzo, P. 47.