Questa lettera non è certo inedita, ma forse per la prima volta viene pubblicata e trascritta nella sua interezza. Scritta dall’allora Podestà Pier Ludovico Occhini al giornalista Bennati nel 1929 testimonia come e perché si tornò a correr Giostra nel 1931.
“Gentilissimo sig. Bennati,
ho letto il suo articolo su la Giostra delle Quattro Stagioni pubblicato nel Bollettino del Consiglio dell’Economia; e le dico subito che mi par proprio da accogliersi l’invito suo di studiare il modo di poter ripetere in Piazza Vasari quello spettacolo. Si tratta di cosa nostra, veramente caratteristica, e molto antica. Veda l’opuscolo “Memorie storiche” stampato da Oreste Brizi nel 1842 in occasione delle nozze di mio nonno Pietro Lastrico (?) con la contessa Laparelli di Cortona. Risulta da un documento, ivi riprodotto dal Brizi, che si giostrò il Buratto, a San Clemente nel 1593 per la venuta in Arezzo del Granduca Ferdinando I; e poi il Brizi aggiunge in una nota che anche nel 1842 quella giostra si ripeteva. Ma certo, Lei studioso diligentissimo di cose aretine, queste cose sa meglio di me. Io ho voluto ricordargliele soltanto per invogliarla sempre più a battere su la sua idea specialmente ora che, con la completa abolizione delle cose in tondo, che è dispiaciuta alla cittadinanza, potrebbe incontrar favore.
Cordiali saluti dal suo
P. L. Occhini”
Questo è l’anno 90esimo delle Giostre moderne, infatti il primo torneo con l’impostazione organizzativa con cui si corre ancora oggi si svolse il 7 agosto 1931.
L’aneddotica e le tradizioni orali che ci tramandiamo non sempre però sono esatti. Possiamo partire subito dallo sfatare la leggenda che la Giostra del 1931, seppur sicuramente un po’ raffazzonata rispetto ad un progetto più ampio, fu preparata in 20 giorni.
Qui basti dire che solo l’idea di creare in così poco tempo un automa, il Buratto, atto a ricevere i colpi di cavalieri al galoppo, con perenne reazione, dotato di mazzafrusto, senza neanche essere testato, è difficile anche solo immaginarlo che sia stato possibile in 20 giorni.
In realtà il tutto ebbe una gestazione più ampia e precedente, se parliamo dell’idea di ricorrere Giostra questa lettera prova come nacque già nel 1929.
Ma non ci si deve fermare agli elementi materiali, forse per certi aspetti i più semplici da preparare. Quando ci approcciamo a scoprire come e perché fu riproposta la Giostra del Saracino, o meglio, la “Giostra di Buratto” o “al Buratto”, così infatti per secoli è stata chiamata, dobbiamo comprenderne le ragioni e le tappe filologiche che ne hanno costituito i pilastri e le misure.
La più scontata è che la Giostra di Buratto era una manifestazione che si correva da secoli ad Arezzo e che già nel 1904 ne fu svolta una in abiti medievali con tanto di sfilata precedente, ma che la stessa fosse ormai rievocazione lo si deve far risalire alla fine del Settecento.
Di certo tra gli step pregnanti che condizioneranno la nuova impostazione tra la metà degli anni Venti e Trenta del secolo scorso furono la creazione di realtà territoriali rionali riconosciute, la realizzazione dei valletti comunali in costume, i progetti architettonici di ristrutturazione del centro storico, senza dimenticare una spinta culturale nazionale tendente a riscoprire le tradizioni locali e le feste tradizionali.
Ma c’è di più, e la lettera del podestà Occhini ce lo sta a dimostrare: si era interrotta la corsa del Palio con cui da almeno 700 anni si festeggiava il santo patrono cittadino.
Infatti si tende a dimenticare che una particolarità tutta aretina era che di feste popolari per secoli la nostra città ne aveva due: il Palio e la Giostra di Buratto. Il primo era una corsa di cavalli alla lunga o alla tonda con cui si festeggiava San Donato che è regolamentata addirittura fin dallo Statuto cittadino del 1327; la seconda era, è ancora, un torneo cavalleresco con molteplici funzioni, tra cui la più importante possiamo dire che fosse quella di festa di rappresentanza, con cui si identificava l’indole cittadina e la storia millenaria, non di meno vera tradizione e consuetudine.
Quest’ultima però nella sua secolare storia fino agli anni Trenta del secolo scorso non ebbe mai una cadenza prefissata, uno statuto prestabilito, un albo d’oro etc. Erano occasioni singole, questo però non fece mancare che “il modello giostra aretino” avesse avuto almeno tra il Cinque/Seicento una impostazione di massima, una caratterizzazione organizzativa e regolamentare nel suo modello più ampio, a cui poi si ispiravano anche nelle occasioni più spartane e che vollero riproporre nel 1931.
L’idea di “ri”correr Giostra risale perciò al 1929, due anni prima dello svolgimento effettivo, questa lettera certifica che l’idea di riproporla fu proprio motivata dal venir meno della festa del Palio che si correva il 7 agosto che da un paio di anni era stato definitivamente abolito.
La Giostra quindi ne era la sostituta naturale e ciò ce lo conferma anche il fatto che nel 1931 si corse il 7 agosto, come anche nel 1932 e 1933 una delle due Giostre si svolsero in concomitanza con i festeggiamenti agostani. Solo dal 1934 fu anticipata questa data a giugno.
Va sottolineato che neanche questa era una novità, poiché già altre volte lungo la storia la festa della Giostra aveva sostituito quella del Palio nelle celebrazioni patronali quando per varie ragioni non si era potuto tenere. Per testimoniarne l’antichità di casi in cui si era festeggiato con una Giostra piuttosto che con il Palio basti qui ricordare le due Giostre all’incontro del 1491 e 1492 e la Giostra al Buratto del 1535, la più antica testimonianza ad oggi pervenutaci di questa specie.
Al pari la lettera ci dice anche che la scelta di svolgere la Giostra in piazza Grande risale anch’essa al 1929 e che si debba ascrivere alla volontà dell’Occhini.
Questo luogo che oggi diamo per scontato non lo era affatto, infatti altra caratteristica delle Giostre aretine era che le stesse non avevano un’ambientazione fissa. Sappiamo che si sono svolte in varie parti della città, da via Ricasoli, all’anfiteatro del Prato (ove si era svolta pure l’ultima del 1904), fino a vie più spartane dei rioni popolari.
Sappiamo pure che nel Seicento vi era un luogo ove di abitudine vi si svolgevano denominato “borgo al Saracino”, che si presume fosse l’anfiteatro romano.
In piazza Grande ricordiamo che vi si era svolta anche la giostra all’incontro con cui terminarono tre giorni di festeggiamenti per l’investitura di Ildebrando Giratasca a Cavaliere dell’ordine dello Speron d’Oro nel 1260. Ma forse più che rifacente ad un dato storico la scelta fu dettata da ragioni contingenti, infatti piazza Vasari e i palazzi che vi si affacciano erano stata da poco restaurata insieme a molte parti del centro storico e quindi è ben ipotizzabile che l’Occhini indicasse proprio tale luogo in ragione di volerne cementificare la centralità e l’importanza.
Un altro dato che si evince dalla missiva è poi la volontà di approfondire la storia e le modalità di correre Giostra ad Arezzo, da qui l’incarico dato a Bennati di insistere negli studi. Ovviamente non fu l’unico che si impegnò in questo compito, ma già che di nostro interesse è che evidentemente fa emergere l’intenzione di restituire alla rinascente Giostra del Saracino aretina la più fedele attinenza alla tradizione.
Anche questo aspetto non è certamente né secondario, né scontato, né casuale. Infatti almeno dalla fine Settecento spesso la Giostra non aveva rispecchiato sempre in pieno e compiutamente i canoni del modello con cui era nata e si era svolta. Inoltre si deve ricordare che in quegli stessi anni erano “risorte” molte feste tradizionali di molte città, avere una base storiografica era quindi importante anche in una visione “concorrenziale” e di autorevolezza.
Ciò ci porta quindi anche a smentire l’aneddotica che vorrebbe che Bennati nel 1930 avesse riscoperto nella biblioteca cittadina casualmente mentre cercava una ricetta il libretto all’Insegna del sole, ove è descritta la Giostra del 1677 a cui si ispirarono per l’organizzazione e il regolamento della rinata manifestazione. In realtà il noto giornalista evidentemente era alla ricerca proprio delle testimonianze storiche della nostra usanza di giostrare.
Su questo libretto bisogna poi sempre ricordare che, anche se evidentemente l’Occhini ignorava, era conosciuto negli ambienti accademici, tanto è vero che nel 1918 fu anche protagonista di una conferenza tenuta dal noto studioso Gian Francesco Gamurrini. Senza voler nulla togliere all’impegno profuso dal Bennati, che non si limiterà certo a questa scoperta, ma che il suo impegno prima e dopo la guerra ne fa uno dei padri nobili della nostra festa, va sottolineato al pari come lo stesso fosse conservato presso la biblioteca comunale, non evidentemente un posto inaccessibile o di particolare impegnativa.
Come poi la volontà di Pier Ludovico Occhini si tramuterà in realtà e della fortuna che ebbe la sua intuizione è storia che abbiamo la fortuna di rivivere ancora oggi a distanza di 90 anni… più 2.
Buon compleanno Giostra!
Sì ringrazia l’Avv.ssa Tamara Pelucchini per la gentile trascrizione della lettera.
Riccardo Pichi