La Lancia d’oro della 146esima edizione della Giostra del Saracino di domenica 1 settembre 2024 sarà dedicata all’ottavo centenario delle Stimmate di San Francesco d’Assisi.

A dire il vero la Giostra del Saracino, non è la prima volta che commemora il Santo di Assisi attraverso la dedica della Lancia d’oro, in quanto la Giostra del Saracino del 5 Settembre 1982 fu dedicata all’ottavo centenario della nascita di San Francesco (per la cronaca fu vinta dal Quartiere di Porta del Foro, con i giostratori Paolo Parigi e Mario Capacci, autori di uno splendido cappotto).

Addentriamoci un po’ sul significato della dedica della Lancia d’oro e più precisamente su come nel corso dei secoli viene descritto l’episodio.

Le varie biografie del Santo di Assisi, raccontano che nell’estate del 1224 settembre, Francesco stava trascorrendo la quaresima di San Michele sul Monte della Verna in Casentino, pregando e digiunando, quando il giorno 14 settembre ebbe la visione di un serafino crocefisso e ricevette le ferite della crocifissione.
Gli apparve un uomo, in forma di Serafino, con le ali, librato sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti, confitto ad una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo. A quell’apparizione il beato servo dell’Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato.
Era invaso anche da una viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell’acerbo dolore della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava con ardore di scoprire il senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitato. Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso.
Le sue mani e i piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Quei segni poi erano rotondi dalla parte interna delle mani, e allungati nell’esterna, e formavano quasi una escrescenza carnosa, come fosse punta di chiodi ripiegata e ribattuta. Così pure nei piedi erano impressi i segni dei chiodi sporgenti sul resto della carne. Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di lancia, con ampia cicatrice, e spesso sanguinava, bagnando di quel sacro sangue la tonaca e le mutande.

Le sapienti mani dell’artista e maestro Francesco Conti, hanno saputo modellare e trasferire su legno l’idea ed il disegno del bozzetto realizzato da Alessio Malentacca, il quale ha vinto il concorso di idee indetto dal Comune.

Come ogni anno il Maestro, ci ha accolti nella sua bottega e mentre era chino e indaffarato fra una botta di scalpello per modellare il legno dell’elsa e una mano di oro per impreziosire l’asta, ci ha raccontato un po’ cosa stava nascendo.

Nella parte frontale dell’impugnatura è raffigurata la scena dell’imposizione delle sacre stimmate, con San Francesco e il Serafino sopra di lui; i fili dorati che congiungono le mani e i piedi dei due soggetti rappresentano il momento dell’imposizione stessa nel Monte Verna (raffigurato dalla roccia in cui il santo è incastonato); Il Tau francescano dall’altro lato è il segno più caro per Francesco, il suo sigillo, il segno rivelatore di una convinzione spirituale profonda che solo nella croce di Cristo è la salvezza di ogni uomo.

Abbelliscono il tutto i colori dei quartieri sopra e i simboli della tradizione aretina, quali la Madonna del Conforto e lo stemma del Comune; è presente il motto “Dalle ferite la vita nuova” scelto non solo come slogan per questo anno centenario, ma è una prospettiva: le ferite di Cristo, le ferite di Francesco, le ferite che oggi il nostro mondo soffre tra guerre, cambio climatico, situazioni di ingiustizia, sino alle ferite che ciascuno porta dentro di sé. Non sono un punto morto, ma una possibilità di vita nuova.

Abbelliscono il tutto le due aste in legno di castagno volutamente lasciate al naturale, percorse da un filo d’oro, che rappresenta il bastone francescano.

Alessandro Dragoni